vinitaly012Saranno anche di nicchia, ma i vini
prodotti da agricoltura biologica e biodinamica stanno incontrando
sempre più l’interesse dei consumatori. Una tendenza da non
sottovalutare, anche perché comunque cresce da parte di tutta la società
la richiesta di metodi produttivi a basso impatto ambientale. Con Vivit
Vinitaly dà a produttori e trader la possibilità di conoscersi meglio,
al di là delle ideologie e in nome del buon vino.

Verona, 12 gennaio 2012 – Si chiama
Vivit – Vigne, Vignaioli, Terroir il salone che Vinitaly dedica
quest’anno per la prima volta ai vini naturali prodotti da agricoltura
biologica e biodinamica. Lo spazio sarà allestito al 1° piano del
Palaexpo, ingresso A.
«Con questa iniziativa Vinitaly – spiega Giovanni
Mantovani, direttore generale di Veronafiere – coglie la richiesta che
viene dal mercato di conoscere meglio i vini da agricoltura biologica e
biodinamica. Il nostro approccio, già sperimentato con successo in varie
edizioni, ultimo Sparkling Italy nel 2011, mira a dare evidenza a
singoli segmenti produttivi con focus dedicati per mettere in contatto
con efficacia offerta e domanda.»
Il dibattito attorno ai vini da agricoltura biologica e biodinamica è in
corso già da alcuni anni, perché le tecniche adottate non sono
supportate, nella legislazione comunitaria, da regole a cui attenersi
lungo tutto il processo di lavorazione. Per questo, dal punto di vista
giuridico, si può parlare solo di “vino ottenuto da uve coltivate
biologicamente”.
Proprio per evitare fraintendimenti su quali vini saranno in
esposizione, Vinitaly ha chiesto alle aziende partecipanti a ViVit di
sottoscrivere un’autocertificazione molto restrittiva sui metodi di
produzione applicati sia in vigneto che in cantina.
L’idea che il più grande appuntamento internazionale dedicato al vino,
in programma a Verona dal 25 al 28 marzo 2012 (www.vinitaly.com) apra a
queste produzioni ha suscitato interesse tra i produttori e sono circa
un centinaio le aziende, provenienti dai principali Paesi vitivinicoli,
ad aver già aderito all’iniziativa.
«Noi partecipanti a ViViT – afferma Elena Pantaleoni, dell’azienda
biologica La Stoppa – siamo vignaioli che hanno come obiettivo primario
fare vini legati al territorio. Come dicono i francesi: vins de
terroir. Spesso pratichiamo agricoltura biologica o biodinamica, ma non
sempre siamo certificati. In cantina mettiamo in atto pratiche che non
alterino le caratteristiche del territorio, ma anche dell'annata e del
vitigno; cerchiamo con i nostri vini di esprimere l'unicità e la
personalità propria di ogni zona vocata.»
Produrre con metodo biodinamico, cioè senza l’applicazione di metodi
intensivi, lasciando al terreno la capacità di nutrire le piante senza
alcun aiuto esterno «non è, di per sé, una garanzia assoluta di qualità –
spiega Nicolas Joly, fondatore de La Renaissance des Appellations,
l’associazione di vignaioli creata 2001 che conta circa 200 produttori
di 14 Paesi, dei quali 34 in Italia -. Il risultato dipende dal luogo
dove si coltiva, dal vitigno scelto, però quando si assaggia uno di
questi vini si capisce la differenza perché si torna alla verità del
gusto.»
Difficile avere dati precisi sulla viticoltura da agricoltura
biodinamica, di territorio o naturali, anche se numerose sono le
associazioni attive a livello sovranazionale con un numero di aderenti
piccolo, ma significativo.
Più monitorato il biologico: secondo il Sinab (Sistema informativo
nazionale sull’agricoltura biologica) tra superfici già convertite e
quelle in conversione, il biologico in Italia rappresentava nel 2009
poco più del 6% del totale vitato, pari a oltre 43.600 ettari. Le più
coinvolte sono le regioni centro-meridionali, mentre tra le regioni
grandi produttrici di vini solo la Toscana è interessata con una
percentuale rilevante, pari al 10%.